Ciao a tutti, di seguito il mio racconto sull’Ultrabericus che, insieme ad altri preziosi compagni della Carvico
Skyrunnig, ho corso ieri.
È sempre un enorme piacere condividere queste avventure con i compagni di questa splendida squadra.
Perché, prima di tutto, questo sport è amicizia.
A presto
Simone
Mi piace chiudere i cerchi.
E con l’Ultrabericus avevo un conto aperto.
La tensione, mascherata durante la sera goliardica, si manifesta a pochi minuti dal via. Realizzo che ormai ci
sono, e che l’appuntamento è troppo importante.
Un abbraccio a Cristian ed Emanuele. La musica sale e diventa ipnotica.
Via.
Una mandria di forsennati parte a razzo.
Mi superano in parecchi in città e, anche questa volta, mi chiedo se certi atleti sanno ciò che ci aspetta.
Personalmente firmerei per dieci ore di gara, e non mi faccio tentare da scatti improbabili.
Giù la testa, nell’attesa che il gruppo si diradi. Non vedo l’ora di correre da solo per boschi, perdendomi nei
miei pensieri. Prima però c’è da lasciare la città, salendo sul santuario. È già l’ora dei silenzi e le urla giocose
di poco fa hanno lasciato spazio a respiri affannosi.
I primi dieci km, non particolarmente impegnativi, scorrono veloci. Troppo veloci. Un concorrente mi dice
che li abbiamo corsi a 5.32 minuti al km. È un ritmo che pagherò, lo so già da ora.
Poco prima avevo intravisto per l’ultima volta Cristian. È già molto avanti rispetto a me. Su alcuni tornanti
riusciamo addirittura a salutarci. È in forma, e lo rivedrò alle docce.
Un ragazzo è fermo. Chiedo se ha bisogno di qualcosa e mi dice che ha rotto i sandali(?) e che tenta di
sistemarli con dello scotch(??). Verrò poi ha sapere che ha letto il libro Born to run. Lo conosco: descrive
una tribù messicana che corre dalla notte dei tempi, e usa semplici sandali.
Scuoto la testa e passo oltre. Come si fa a sottovalutare una 65 km?
Il primo ristoro lo salto e voglio arrivare il prima possibile a metà gara. È un continuo sali e scendi con
l’aggravante che si può quasi sempre correre.
Alle 14, dopo quattro ore di gara, sono al 34esimo km, dove si danno il cambio gli atleti della staffetta.
Lentamente si fa strada in me l’idea di poterla chiudere in nove ore.
Voglio arrivare ai 50 per poi dare tutto. Il caldo non aiuta e un generale senso di nausea non mi lascia
tranquillo. Bevo molto e non urino(non lo farò fino alla tarda sera) e provo a mangiare cibi diversi. Datteri,
panettone ed arachidu sembrano funzionare. Le salite, mai estreme, in ogni caso mettono a dura prova
aduttori e schiena. Prendo un Oki sciogliendolo in una borraccia, correndo.
È dura, e mancano almeno 20 km. Da qui in poi sul conteggio dei km ne sento di tutti i colori. Numeri
ottimisti, altri sconfortanti. Atleti della staffetta, più freschi, mi superano in scioltezza. Una ragazza veneta,
in particolare, mi dice che sto andando bene. “Il mio moroso, l’an pasao, l’ha fatta in 8:20, ed è arivao
120esimo.”
Cavoli, siamo più di mille. Sto andando bene anch’io? Alzo l’asticella: posso farcela in poco più di otto ore.
Non voglio nemmeno prendere in considerazione l’idea di usare la frontale.
L’avvicinamento a Vicenza è duro, lungo. Psicologicamente una battaglia. Ancora vigneti, ancora prati. Ma
continuo a correre, sognando l’arrivo.
Entro nel parco della città e poi su, per una lunga ma corribile salita fra belle ville.
Vicenza compare. È laggiù, e piazza seu Signori sembra lontanissima. Qualcuno si lamenta: già qui abbiamo
fatto i 65 km previsti. Non li sto ad ascoltare, e vado a godermi l’arrivo.
È come me l’immaginavo, e non posso fare a meno di stringere forte i pugni.
Ho dato tutto, fino all’ultima goccia. Ho strizzato la mente, e ho chiuso la gara con un’inaspettato 8:07.
Alle docce vedo Cristian. È andato fortissimo! Ha fatto passi da gigante! Ci facciamo i complimenti a vicenda
e andiamo a mangiare. Ora tocca ad Emanuel! Controlliamo gli intermedi al computer: ce la farà! E infatti
eccolo, felicissimo! Ha concluso la sua prima ultra e sarà un’esperienza che non dimenticherà.
Siamo distrutti, ma felici.
La felicità di chi sa di aver affrontato ostacoli, crisi, trappole. La felicità di chi è caduto, e con enormi sforzi si
è rialzato e ha continuato.
La felicità di chi ha finito l’Ultrabericus.