Ho due gambe, una testa. Ho un cuore.
Dovevo provare. Era la naturale evoluzione delle cose. Un trail sopra i 100 km.
L’Abbots way mi ha chiamato, un anno fa, sulla via Francigena; un trail che ripercorre un Cammino era qualcosa di più di un’occasione.
Era la cosa giusta da fare.
Pontremoli è invasa da felpe colorate e scarpe da trail. Sono, nella maggior parte dei casi, atleti abituali di queste distanze e fra i ponti sul fiume e nelle piazzette è un’esplosione di abbracci e di pacche sulle spalle. Chi è alla quarta Abbots, chi alla settima.
Mi sento una matricola in prima superiore, e chi mi circonda mi fa notare che ho il viso teso.
In effetti non sono tranquillissimo, e il dubbio di aver fatto il passo più lungo della gamba mi pizzica il sedere.
Ore 4.30. Mi sveglio per primo ed esco dalla camerata del castello dove alloggiano. La mattina è fredda e guardo giù, Pontremoli. Scaccio dalla mente il pensiero che fra 24 ore starò ancora correndo.
Ore 7, il via.
L’uscita da Pontremoli mi sembra troppo allegra, e il ritmo sostenuto mi accompagna fino alla prima salita.
Che passa tranquilla: 900 metri di dislivello in 20 km, dolci, baciati dal sole che fa spogliare man mano gli atleti.
Mi sento bene, e corro parecchio. Qualche dolorino, ma questo è il gioco.
Non trovo un gruppo con il mio ritmo e ben presto arriva quella solitudine che adoro: corro, nessuno all’orizzonte e dietro di me.
Alle 11 sono a Borgotaro, km 33. Sto andando forse troppo veloce, ma l’idea è di prendere vantaggio prima del tramonto, per poter poi camminare nella notte.
La salita successiva non scherza, ma arrivo al 50esimo abbastanza sereno. Nei ristori mangio di tutto e scherzo con i volontari, gentilissimi.
Voglio arrivare a Bardi(km 65), il ristoro più importante dove l’organizzazione ci farà trovare i nostri zainetti con un cambio. Uscendo da una valle vedo il castello di Bardi là in fondo, maestoso.
Ci metteremo ancora un’ora ad entrare, attraverso una salita spezza gambe. Sono con due ragazzi che stanno facendo la staffetta(65+65), ma scaccio l’idea di essere veramente stanco, come lo ero un mese fa al termine della Ultrabericus. Questa volta non ci si ferma. Questa volta si va oltre i miei limiti, è stabilito.
Sulla via principale del paese vedo Ili e mio fratello. È tutto uno sbracciarsi e salutarsi: che sollievo vederli! Mi sento già meglio!
Nel locale adibito al cambio e al riferimento alimentare mi spoglio e valuto i danni: al di là di piedi bianchi e raggrinziti a causa dei molti torrenti attraversati, tutto sommato non sto male.
Ili è premurosissima e si fa in quattro, tra borse, pomate da spalmare e decisioni da prendere insieme su cosa indossare e portare per la notte. Sono le 17 e fa già freddo. Mangio minestrone seduto e mi rilasso. Ho tanti dubbi, ma Ilenia ha sempre le parole giuste, ed averla lì, che soffre con me, è un aiuto fondamentale.
Via.
Su, verso il monte Lama, che si nasconde e non si palesa mai completamente. Per arrivare alla croce (700 m di dislivello), tra qualche atleta in difficoltà, ci metto due ore e mezza.
Giù, verso Bruzzi.
Mi sento incredibilmente bene e mi rendo conto che sto esplorando un terreno sconosciuto del mio corpo. Ho la sensazione che si sia arreso e che abbia rinunciato a mandarmi segnali di allarme tramite dolori. Si è reso conto che questa volta andrò oltre, e che non mi fermerò. Può solo collaborare, per abbreviare l’agonia. Verso le 21 metto la frontale ed arrivo al ristoro di Brizzi(km 80). Con enorme sorpresa c’è Ilenia! Non era previsto! Nell’attesa ha dato una mano ai volontari che, naturalmente, la adorano.
Caffè, panettone, tanti abbracci con Ili e via, nell oscurità, con buone sensazioni. I successivi 15 km per passare Groppallo ed arrivare a Farini, sono “mangia&bevi”, piccole salite che si alternano a discese.
La frontale non va bene, per niente. Si spegne di continuo e sembra un problema di pile. Ma sono nuove! A Groppallo mi fermo alla luce di un ristorante e metto le pile di ricambio.
Non mi piace questa situazione: sono le 21.30 ed ho già utilizzato le pile di scorta. Ho davanti tutta la notte, restare senza luce significativa ritirarsi, anche al 120esimo km.
Una famiglia con un bel jack russel passa me ed altri in discesa. Li avevo visti qualche ora prima in direzione opposta. Chi guida il gruppo(famiglia ed atleti), è il figlio. Avrà dodici anni o giù di lì, ma va fortissimo! Fatico a stare al loro passo, come il jack russel! Attraversiamo piccoli borghi montanari addormentati.
A Farini la famiglia si ferma: hanno la macchina lì. Ci provo: avete forse una pila per la frontale? Gentilissimi, me ne danno due. Non so come ringraziarli e parto, ma mi accorgo che sono le stilo,
non le mini! Mi affiancano in macchina e mi danno due mini. Sono sollevato e commosso dalla gentilezza.
A Farini(km 95) il ristoro è al chiuso: minestrone e pasta. Comunico un po’ con il telefono e riparto. C’è la Sella dei Generali da affrontare, ultima vera salita(800 metri di dislivello). Il proposito di tagliare il traguardo dei 100 km per mezzanotte non lo rispetto per un quarto d’ora.
La salita è durissima, e salgo ciondolando. Ho dolori ovunque, soprattutto ai piedi e mi sembra di avere allucinazioni.
Sono da solo da ore, ma sento continuamente dietro di me qualcuno.
Devo prestare attenzione ai segnali: non ho più voglia di sbagliare strada(è successo quattro volte, e i km extra accumulati mi hanno innervosito parecchio).
Sento animali intorno a me, e mi sembra di sentire un grugnito di cinghiale. Ovviamente non c’è nulla, ma scaccio i miei fantasmi con i bastoncini. Alzo lo sguardo e vedo le stelle. Quindi è questa, penso, la notte sui trail, alla quale ho pensato moltissime volte.
Quasi in cima alla Sella mangio in piedi un po’ di minestrone. Sono le 2 e mancano meno di 20 km.
Vedo la luce in fondo al tunnel. Forse posso arrivare a Bobbio per le 5. Sarebbe un risultato pazzesco.
Ancora un po’ su e poi la lunga, nervosa discesa a Coli. Mi rendo conto di avere grossi problemi ai piedi ed appoggiarli sui sassi fa malissimo. Mi passano in parecchi, ma a questo punto non importa: basta arrivare, anche sui gomiti.
Bramo l’asfalto perché riesco a correrci. Insomma, non si tratta di una vera e propria corsa: è un barcollare in discesa.
Ma, incredibilmente, corro! Al km 110 corro!
Da Cali mancano 7 km a Bobbio, ma dobbiamo affrontare l’ultima, inaspettata, salita. Non ci voleva: salgo lentissimo, cercando le ultimissime gocce di benzina del mio corpo. Avanzo fra i lamenti di altri concorrenti.
In cima al colle si vede Bobbio: mancano 5 km. Tra discese spacca ginocchia e dolori al limite dell’insopportabile ai piedi ci metterò più di un’ora.
Quando attraverso il ponte di Bobbio, tante volte visto sui video fagocitati nei mesi precedenti, mi rendo conto di avercela fatta. Sono le 6 e piango.
Due signori se ne accorgono e mi salutano affettuosamente.
Mi ripeto che non ci posso credere, giro l’angolo e mi immetto sulla via del traguardo. Data l’ora è praticamente deserto, ma mi sembra di riconoscere…Ilenia!!
Lei e Giordy(tempo e piazzamento pazzeschi!) mi stanno aspettando.
Abbracci, baci, commozione.
Ili ha passato una notte difficilissima per seguirmi, e per essere a Bobbio così presto.
E, in generale, si è fatta in quattro per darmi tutto il supporto che un atleta può desiderare. È stanca, ma non si risparmia per gestire un uomo distrutto e lamentoso. Ho i piedi messi male, e quando li vedo capisco i dolori allucinanti.
Si torna a casa. Non riesco a credere di non dover più evitare sassi e radici e, se chiudo gli occhi, sto ancora correndo.
È finita. 125 km. Sono arrivato in un territorio del quale non conoscevo neppure l’esistenza. Un terreno per me estremo, ma che mi affascina.
Ce l’ho fatta. Ce l’abbiamo fatta. Io e Ili. Siamo forti noi due.
Simone